UN SILENTE MONDO PARLANTE
Incisioni. Bon a tirer. Litografia. Pochoir. Menabò. Lavis. Barbe di puntasecca. Concilium Litographicum. Monotipo e fotoincisione. Taglio dolce. Cul de lampe. Japon nacré. Cinquanta incisori. Cerastico e Upiglio e Sciardelli e Mardesteig. Castiglioni e Corubolo. I cento amici del libro. E i Prandi.
Se fin da piccoli si cresce immersi in un lessico ripetuto arriva l’età in cui le parole e le espressioni abituali acquisiscono consistenza fisica e si inizia ad assegnarle agli oggetti, alle persone, agli ambienti che vi corrispondono. E quando, ancora più avanti, si guarda indietro, si valuta ciò che è rimasto di quel lessico e di quel mondo, e si scoprono le perdite e le permanenze, i piaceri e i dolori per quel che si è fatto e non si è fatto. I Prandi e l’affascinante e silente mondo parlante delle stampe sono una di queste piacevoli permanenze.
Alle diciotto mio padre era immancabilmente in libreria Antiquaria. Alle diciannove, diciannove e trenta a casa si avevano già notizie, curiosità, pettegolezzi, opere da sfogliare e da vedere. Negli ultimi anni ascoltare i resoconti e le parole di mio padre era non solo un piacere, ma anche talvolta necessità di lavoro: c’erano tirature in ballo, edizioni, per mia sorella restauri di opere da affrontare. I Prandi sono sempre esistiti sul nostro sfondo familiare e spesso questo sfondo si è fatto in primo piano.
Dalle pareti mi guardano le incisioni di Chagall, di Foujta, di Gromaire, le litografie di Fantin-Latour e di Hervieu, entrambe estremamente care ai miei occhi; quella di Hervieu, un nudo imponente nero e bianco, in particolar modo perché è un compendio di tecnica litografica, metodo di stampa che più di tutti mi attira. Ognuna con il timbretto a secco della Libreria Antiquaria Prandi. Questo timbro è sempre stato una garanzia per schede di catalogazione di incisioni e libri che sono tra le più precise per terminologia tecnica ed esattezza descrittiva. Si ascoltano e si leggono oggi esperti di incisione che non riconoscono un linguaggio grafico dall’altro.
L’assuefazione al nome e alla presenza dei Prandi è così radicata che quasi mi dimentico di dovere a loro alcune delle esperienze più importanti della mia attività di stampatore: la tiratura del rame inciso a bulino da Severini da inserire nel volume della monografia sull’artista in edizione Prandi, quella delle incisioni di Guttuso per l’ormai leggendario Gli anni delle immagini perdute di Valerio Zurlini, ancora tirature postume di acqueforti dell’elusivo e raffinato Italo Cremona e di puntesecche biffate di Ligabue, quelle di commissione e proprietà dei Prandi. Tirature di Maccari, Luigi Bartolini e numerosi altri. E la mia prima vera esperienza professionale, insieme a Fabrizio Dall’Aglio: l’edizione dell’almanacco Alto Mare, che ancora oggi mi piace sfogliare e rileggere.
E affiorano anche i ricordi della partecipazione alle “grandi” mostre: di Maccari, Tamburi, Cascella, Mattioli, Gentilini, Manfredi, Ciarrocchi, Rognoni, Salvadori, Forti, vissute prima con lo stupore del ragazzino poi con l’interesse dell’adulto, in cui – ora me ne rendo ben conto – si presentavano artisti, collezionisti, critici espressione di una parte della cultura italiana forse tradizionale, di sicuro importante, ricca di opere e scritti.
Passano gli anni e i momenti e le occasioni: tanti tra gli artisti che ho l’onore di aver stampato o di stampare, li ritrovo poi sulle pagine del catalogo Prandi, filiera per me del tutto naturale. Mi viene il nome, tra tutti, del coerente e rigoroso Stefano Grasselli e, in questi giorni in cui ho appena congedato un’edizione di un testo di Lazzaro Spallanzani illustrata da acqueforti, del raffinatisimo Vincenzo Piazza, da diversi anni presenza stabile nel catalogo.
Edizione dedicata a Dino Prandi. Si deve a lui infatti la prima e più completa bibliografia dello scienziato reggiano: il gruppo dei Prandi non solo ha diffuso il gusto per la grafica moderna, ma è stato conservatore di cultura e oggi le monografie di artisti edite con il marchio Prandi sono ancora insostituibili per completezza di informazioni sul corpus della loro opera grafica.
Mi accorgo di parlare sempre al plurale, perché i Prandi sono un gruppo e l’abitudine a nominarli come collettivo non cambia il fatto che ognuno di loro abbia avuto ed abbia tuttora specifiche caratteristiche, funzioni e attitudini. Ricordo che Dino, come molti uomini colti, praticava ironia e scherzo, capace di sostituire nel piatto del pittore molto miope i ciccioli con dei fichi secchi, o di raccontare storielle e filastrocche coprolaliche estremamente divertenti: fra le tante quella di frate Usbego (?), che cerco vanamente ancora oggi di ricostruire nella memoria. Ma anche mi sovviene il sentimento di soggezione che provavo quando, dovendo passare nelle stanze del retrobottega per consegnare o ritirare stampe, mi sentivo osservato dalle splendide fotografie in bianco e nero scattate da Paolo Prandi agli artisti conosciuti e diffusi dalla Libreria, così nette di ombre e di luci, così ben inquadrate, di una iconicità perfetta tipica più delle stampe antiche che delle fotografie. La fregola odierna dello scatto facile, soprattutto nella nostra città, ambirebbe a produrre immagini tanto efficaci.
Oggi il catalogo Prandi è ancora una finestra aperta sul panorama delle opere d’arte su carta e sulla stampa d’artista, ed erroneamente lo si crede al tramonto quando si vedono case dalle pareti nude, dove sta appeso qualche tristissimo addobbo floreale o qualche manifesto ikea e si constata l’ignoranza diffusa riguardo a ciò che è arte su carta. Perché sono tanti invece quelli che apprezzano proprio nelle stampe un mondo pronto a disvelarsi: quello dell’artista, che attraverso l’immagine ci parla di sogni, realtà, visioni, riflessioni, amori e quello dello stampatore – spesso per altro la medesima persona – composto di carte, inchiostri, mani sporche e fatica fisica, saperi e tecniche antiche e nuove, ibride, più consone all’espressività contemporanea.
E come i Prandi con l’ingresso al lavoro di libreria dei giovani Andrea e Laura, così il lessico dell’incisione si sta rinnovando con vigore, pur conservando, questa forma d’arte, le sue caratteristiche di degustazione lenta, attenta ai contenuti e al pubblico che ama fermarsi, guardare, riflettere: metodi di incisione e stampa no toxic, tirature bassissime, ricerca di grandi dimensioni, solar plate, collografie, acquacolor, inchiostri materici, vernici fosforiche… Probabilmente sul catalogo Prandi ci sono già tracce, notizie e opere di questi nuovi e fertili aspetti dell’arte a stampa.
Nicola Arnoldo Manfredi maggio 2015